Quando si parla di viaggi in Italia, Roma è tra le città più citate, per questo riuscire a dire qualcosa di nuovo può essere difficile. Ma ecco il segreto: Roma è una città infinita.
Potete aver letto decine di post e suggerimenti online su cosa fare e dove andare quando visitare questa eterna città, ma sembra che non bastino mai perché ogni volta si scopre qualcosa di nuovo e bellissimo.
Per chi decide di visitare la capitale per la prima volta suggerisco ovviamente di passare prima dai grandi must, come il Colosseo, i Fori, il Campidoglio, e non potete assolutamente perdervi l’incredibile vista dalla cupola di San Pietro.
Ma se state cercando qualcosa di nuovo, allora vi suggerisco alcune tappe davvero curiose che non potete assolutamente perdervi.
Centrale Montemartini
Si tratta di un edificio di archeologia industriale, un tempo centrale elettrica, riconvertito a museo d’arte classica.
Al suo interno possiamo trovare opere come mosaici e statue, tutti provenienti dagli scavi archeologici di Roma effettuati tra la fine dell’ottocento e inizio novecento.
Si tratta quindi di un museo, ma è estremamente particolare e merita di essere citato in questa lista per la sua grande particolarità di ospitare opere d’arte classica di fianco a reperti derivanti dall’era industriale.
Passeggiando per i suoi corridoi è possibile imbattersi in una statua della musa Polimnia in marmo di fianco a una vecchia turbina o un motore Diesel.
Un contrasto di tematiche ed epoche che hanno l’effetto finale di esaltare l’incanto sia di uno che dell’altro.
La Cripta dei Frati Cappuccini
Luogo assolutamente sconsigliato a bambini e chi è particolarmente sensibile al concetto della morte, la Cripta dei Frati Cappuccini rappresenta l’anima oscura di Roma.
A pochi passi dalla fontana del Tritone e piazza Barberini, la cripta si trova sotto la chiesa di Santa Maria della Concezione, in via Vittorio Veneto.
Ciò che la rende degna di nota, e una visita obbligata, sono le innumerevoli ossa e scheletri umani che decorano le sue pareti, posizionati a rappresentare simboli allegorici legati alla vita e alla morte.
All’ingresso della cripta, come spesso accade, si trova un memento mori che recita “Quello che voi siete noi eravamo; quello che noi siamo voi sarete” e che segna l’inizio di un lungo e macabro corridoio.
Sulle pareti, infatti, ci sono scheletri e resti di oltre 4000 frati cappuccini che tra il 1500 e il 1800 hanno vissuto nel convento adiacente alla chiesa, convento che attualmente non c’è più, demolito quando venne costruita via Vittorio Veneto.
Le figure allegoriche che si possono ritrovare nella composizione degli scheletri sono clessidre, orologi e farfalle, simboli che appunto rappresentano lo scorrere della vita e la morte, ma troviamo anche lo scheletro di un bambino che sorregge una bilancia e una falce da mietitore.
Ogni cosa è fatta di ossa, persino i lampadari che pendono dal soffitto, creati con falangi e coccigi, ma ogni stanza ha una predilezione per una “parte del corpo” specifica: abbiamo quindi la sala delle tibie, la sala dei femori e quella dei teschi.
All’interno delle nicchie, anche queste realizzate con ossa, sono posizionati alcuni scheletri interi vestiti col saio da frate, tra cui i più famosi sono “i tre scheletri”, a cui è dedicata una sala.
Per conoscere meglio chi siano stati questi frati cappuccini, prima della cripta è allestito un piccolo museo dove è possibile apprendere la loro storia.
Ovviamente, dentro la cripta è severamente vietato toccare, fare foto e filmare, sia per preservare la composizione artistica, sia per rispetto dei morti che si trovano di fronte a noi.
Il buco della serratura
Passeggiando ignaro per Piazza dei Cavalieri di Malta, di fronte alla chiesa di Sant’Anselmo, potresti improvvisamente imbatterti in una fila di “spioni” che aspettano ordinatamente il loro turno per potersi piegare e guardare dal buco della serratura di un grosso portone.
Niente di illegale, niente di cui spaventarsi, ma consiglio anzi di seguire il loro esempio e dare una sbirciata.
La porta di cui stiamo parlando, infatti, si tratta del cancello del Priorato dei Cavalieri di Malta e la visuale dal suo buco della serratura è degna di un quadro.
Ciò che si apre alla vista è un corridoio di siepi predisposte ad arco e che lasciano, infine, aperta la vista sulla meravigliosa cupola della Basilica di San Pietro, posta esattamente al centro dell’arco, in una prospettiva degna di un Brunelleschi.
Riuscire a fotografare il fantastico panorama non è semplice, ma non è neanche totalmente impossibile, basta avere una buona macchina fotografica, tanta pazienza e poca fila alle spalle, per evitare di costringere chi è dopo di noi ad aspettare troppo.
Ad ogni modo, una cosa è certa: dopo questa, Roma vi resterà per sempre nel cuore.
La porta alchemica
Continuiamo la nostra passeggiata per le vie di Roma e arriviamo così ai giardini di Piazza Vittorio, dove improvvisamente ci troviamo di fronte una porta costruita in un muro, che non conduce assolutamente da nessuna parte, ma che è stranamente protetta e sorvegliata da due figure statuarie.
Particolare, sicuramente, ma mai quanto la leggenda che si nasconde su questo luogo apparentemente privo di interesse.
Quella che avete davanti è tutto ciò che resta della villa Palombara, residenza di Massimiliano Savelli Palombara, tra le altre cose appassionato di alchimia.
La leggenda narra che in una notte tempestosa del 1680 Palombara abbia ospitato un uomo, un medico alchimista di nome Francesco Borri. Si dice che l’uomo si fosse recato ai giardini per cercare erbe in grado di produrre oro, ma al mattino seguente questo fosse sparito.
Al suo posto, nei giardini, vennero trovati manoscritti con numerosi simboli e formule alchemiche e alcune tracce di oro purissimo.
Palombara si convinse che quelle formule fossero il segreto per produrre la famosa pietra filosofale e, per non perderle, le fece incidere sulla porta che ora abbiamo davanti, chiamata per questo “Porta Alchemica”.
Tra i simboli, ancora oggi, possiamo ritrovare pianeti associati a metalli, piramidi, cerchi, iscrizioni in latino ed ebraico, con una stella a sei punte.
Le statue ai due lati rappresentano infine il dio egizio Bes e, fatto affascinante, ancora oggi nessuno è riuscito a risolvere l’enigma della formula incisa.
L’orologio ad Acqua
Nel cuore di Villa Borghese è possibile trovare questo straordinario congegno che nasce dall’unione di arte, fisica, meccanica e idraulica, anche se resta ben mimetizzato ed è difficile notarlo se non si sa della sua esistenza.
Si tratta di una torre in ghisa scolpita a forma di tronco d’albero, con 4 quadranti ognuno rivolto verso un punto cardinale, in modo che possa essere ben visibile da ogni lato.
È posizionata al centro di un laghetto, su una formazione rocciosa, con davanti costruito un piccolo ponticello in legno, circondato da palme e una fitta vegetazione, mimetizzato quasi perfettamente.
Dal 1867 questo orologio dall’aspetto quasi fiabesco segna il minuto con precisione impeccabile, senza mai essere stato ricaricato: questo è possibile grazie al suo meccanismo che usa l’acqua come fonte di energia.
Al suo interno infatti ci sono due piccole vaschette su uno spillo in bilico che si riempiono con l’acqua che cade dall’alto, e nell’oscillare attivano il meccanismo e il pendolo.
Ciò che rende unica la visita a questo piccolo tesoro della meccanica e dell’idraulica è l’ambiente del giardino in cui è situato: silenzioso e pacifico, totalmente immerso nella natura, dove tra uno scroscio d’acqua e un fruscio di foglie è possibile sentire il leggero ticchettio del tempo.
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